Iscriviti alla nostra newsletter

"*" indica i campi obbligatori

Edificio moderno

Alzheimer: come funziona un centro specializzato per chi soffre di demenza

A Ravenna c’è una struttura che si occupa di chi ha L’Alzheimer e delle loro famiglie

L’Alzheimer è una forma invalidante di demenza che colpisce le persone anziane e che tende a degenerare progressivamente. Secondo i dati rilasciati dalla Federazione Alzheimer, in Italia oggi ci sono 1,5 milioni di persone con demenza, un dato destinato a raddoppiare nel 2050.

Nella Provincia di Ravenna l’unica struttura accreditata e convenzionata con l’Ente pubblico dedicata alle persone affette da Alzheimer è il Nucleo Alzheimer della Rosa dei Venti, un centro polifunzionale per la popolazione anziana. La Rosa dei Venti è frutto di un importante investimento del movimento cooperativo del territorio, in particolare delle cooperative sociali Solco Ravenna e Il Cerchio.

Eugenio Migliavacca, coordinatore del Nucleo, Raffaela Oggianu, psicologa e psicoterapeuta di Ausl Romagna e Paola Cascio Gioia, fisioterapista, ci spiegano e raccontano come funziona il Nucleo, chi vi accede, e cosa significa lavorare con persone che hanno l’Alzheimer.

da sinistra Paola Cascio Gioia (fisioterapista), Raffaela Oggianu (psicologa) e Eugenio Migliavacca (coordinatore) all’interno del Nucleo Alzheimer della Rosa dei Venti.

Il Nucleo Alzheimer della Rosa dei Venti a Ravenna

Il nucleo dedicato alle persone affette da demenza si trova al pian terreno del grande complesso La Rosa dei Venti. Può ospitare 18 persone, uomini e donne, per un periodo di tempo limitato, che viene definito con il progetto personalizzato per ogni ospite. C’è una camera per ogni ospite, una sala multisensoriale, una cucina e alcune sale comuni per le attività. Il Nucleo è disposto su una forma a otto, un infinito, per poter dare alle persone ospiti la possibilità di camminare: un sintomo tipico delle persone con Alzheimer è il wandering, cioè il camminare senza una meta per rispondere a un impulso che non si riesce a controllare. 

Anche l’arredamento della struttura è stato pensato tenendo presenti le abitudini e i bisogni di chi soffre di Alzheimer: ai corridoi è stato dato il nome di vie per farli assomigliare a strade di paese o città più che a corsie di una struttura socio-sanitaria; le porte di accesso e di uscita sono state dotate di codice per l’apertura e “camuffate” con disegni e stampe per abbassare il rischio di fuga, altro sintomo collegato al wandering.

Il personale socio sanitario del Nucleo è composto da 10 Oss (operatori e operatrici socio-sanitarie), 2 infermiere, una responsabile infermieristica, una psicologa dell’Ausl Romagna, una fisioterapista, 1 coordinatore di struttura, 1 responsabile delle attività assistenziali (Raa) e 1 medico presente 3 volte a settimana. 

Il Centro polifunzionale Rosa dei Venti a Ravenna

Un Nucleo temporaneo

Obiettivo del Nucleo è quello di ripristinare quanto più possibile le autonomie delle persone ospiti e istruire le famiglie su come affrontare e gestire le conseguenze della malattia.  Lo scopo è di creare le condizioni affinché la persona anziana possa tornare nella propria casa: “Il nostro lavoro principale – spiega la psicologa Raffaela Oggianu – è aiutare le famiglie a sapersi prendere cura di una persona con l’Alzheimer. Intorno a questa malattia c’è uno stigma ancora fortissimo e i familiari sono spesso impreparati a gestirla. Nessuno ci insegna come relazionarci con una malattia così difficile, ma si può convivere con una demenza, bisogna però ridefinire le aspettative che si hanno verso la persona che ne è affetta”.   

Intorno a questa malattia c’è uno stigma ancora fortissimo e i familiari sono spesso impreparati a gestirla. Nessuno ci insegna come relazionarci con una malattia così difficile.

Chi arriva al nucleo Alzheimer

Ogni mese alcune persone presenti nel Nucleo cambiano e lo staff deve adattarsi al nuovo gruppo che si viene a creare. A volte si tratta di persone che a livello fisico stanno bene, altre di persone che hanno perso l’autonomia anche delle più normali attività fisiche, a causa della malattia avanzata. 

L’Alzheimer inizia colpendo alcune attività mentali – continua Oggianu -, ma nella sua degenerazione la malattia porta al declino fisico, perché mi dimentico di mangiare, mi dimentico se ho un dolore, mi dimentico se ho fame o sete, quindi mi disidrato, mi mal nutro, non curo un dolore che sento. Non si muore di Alzheimer, ma delle conseguenze che la malattia porta. Quando una persona con Alzheimer viene allettata non è perché i suoi muscoli non funzionano, è perché non sa più come farli funzionare”.

L’età media delle persone ospiti del Nucleo Alzheimer è sopra i 75 anni: “Quando arrivano qui si trovano o all’esordio della malattia, che in realtà non è un esordio ma è un rendersi conto della presenza di questa malattia, oppure stanno vivendo una fase acuta che diventa ingestibile a casa – racconta il coordinatore Eugenio Migliavacca -. Vengono inviati da noi dalla COT –  Centrale Operativa Territoriale – su valutazione tecnica del Centro per i disturbi cognitivi del territorio. In ogni caso noi accogliamo persone che vivono una fase emergenziale e abbiamo il compito di stabilizzarle. Non si tratta di una guarigione, ma solo di stabilizzare una fase acuta per continuare il percorso di cura a casa o in un’altra struttura”.

Non si muore di Alzheimer, ma delle conseguenze che la malattia porta. Quando una persona con Alzheimer viene allettata non è perché i suoi muscoli non funzionano, è perché non sa più come farli funzionare

Come avvengono gli inserimenti all’interno del Nucleo

L’iter che si avvia per ogni inserimento all’interno del Nucleo prevede un colloquio dei familiari con il coordinatore e con l’equipe dei responsabili assistenziali infermieristici e della riabiliatazione e un colloquio con la psicologa della struttura che raccoglie la storia di vita. “Durante i primi colloqui con ospite e familiari cerco di raccogliere il più possibile il vissuto della persona, in modo da poter poi istruire l’equipe sulle modalità migliori per relazionarsi con lei- prosegue Oggianu”. Dopo questi primi colloqui viene redatto il Pai – il Piano di assistenza individualizzato – dove sono raccolte in un’ottica multidisciplinare tutte le informazioni utili sulla persona inserita.

Cosa si fa all’interno del Nucleo Alzheimer

Ogni giornata all’interno del Nucleo è scandita da una routine volta a ripristinare quanto più possibile le autonomie degli ospiti. “Il nostro piano del giorno è sempre molto elastico perché non sempre gli ospiti sono disposti a seguirlo – racconta la fisioterapista del Nucleo Paola Cascio Gioia -, ci adattiamo alle loro esigenze e tempistiche. Si lavora molto sulla ripresa del contatto fisico, perché spesso le persone con Alzheimer sono schive e quindi chi sta loro intorno ha difficoltà nell’avvicinarsi. Grazie alle indicazioni della psicologa noi operatrici e operatori siamo in grado di utilizzare l’approccio giusto per avvicinarci anche fisicamente. Le attività che svolgiamo sono molto varie, si va dai massaggi per riattivare movimenti, a gesti e azioni quotidiane, come il lavare i piatti, il prendersi cura della propria persona, il giardinaggio, le faccende domestiche: cerchiamo di ripetere i gesti che fino a poco tempo fa sembravano scontati e che adesso si fa fatica a ricordare”.

“La riabilitazione che facciamo qui viene fatta con azioni e strumenti che fanno parte della vita di tutti i giorni – aggiunge Oggianu -. Non utilizziamo per dire biciclette o macchinari speciali, perché gli ospiti a casa non li hanno. Ci concentriamo su azioni semplici, come preparare il caffè e stendere i panni. Utilizziamo la vita vera”.

I familiari

Oltre alla “presa in carico” dell’ospite avviene di fatto anche “la presa in carico della famiglia”, quando presente. I familiari possono richiedere incontri con la psicologa della struttura secondo il loro bisogno e una volta al mese possono partecipare al gruppo di sostegno psicologico, un momento che diventa anche occasione di confronto tra chi sta vivendo situazioni simili a casa. 

“Se la persona che arriva da noi ha una famiglia, questa il più delle volte arriva distrutta fisicamente e mentalmente – racconta Oggianu -: piena di emozioni contrastanti e da notti e giorni senza dormire. Una volta, fino a 10 anni fa, l’emozione più evidente nei familiari era il senso di colpa per non riuscire a gestire a casa la persona cara. Ora i familiari arrivano talmente stanchi che hanno già superato la fase del senso di colpa. Arrivano chiedendo aiuto”. 

“Se la persona che arriva da noi ha una famiglia, questa il più delle volte arriva distrutta fisicamente e mentalmente”

La prevenzione

Non c’è ancora una cura per l’Alzheimer, ma ci sono delle indicazioni sugli stili di vita da adottare per prevenire l’insorgenza di questa malattia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) le ha messe insieme nel 2019 nel documento Risk reduction of cognitive decline and dementia.

Un fattore importante è il riuscire a riconoscere tempestivamente i segnali di un possibile declino cognitivo. Questo aiuta ad iniziare subito le terapie e i farmaci presenti oggi, ma soprattutto ad attivare una rete di supporto intorno alla persona colpita e creare un ambiente comunitario a sua misura. 

“Un aspetto che va sottolineato in ambito di prevenzione è che i dati dimostrano che le persone che hanno una maggiore riserva cognitiva, perché hanno studiato di più, hanno viaggiato e hanno avuto la possibilità di ampliare le proprie conoscenze e le proprie vedute, sono quelle che perdono le autonomie più tardi negli anni – aggiunge Oggianu -. Le linee guida dell’Oms  sottolineano anche l’importanza di una corretta alimentazione, dell’esercizio fisico e della pratica della mindfulness, come strumenti per mantenere il cervello in salute. Altra azione importante in chi sta sviluppando una demenza è la stimolazione quotidiana degli automatismi funzionali. Ripetere e mantenere attive le abitudini quotidiane contribuisce a preservarne memoria. Una volta si tendeva a ‘coccolare’ le persone anziane e a non far loro compiere neanche i piccoli lavori domestici, oggi si è capito che è utile e funzionale non sostituirsi a loro in questi compiti”.

Cosa vuol dire lavorare con le persone affette da Alzheimer

Gli operatori e le operatrici del Nucleo Alzheimer sono sottoposti a formazione continua. Una volta a settimana si riuniscono insieme a coordinatore e psicologa per prendere in visione i Piani di assistenza individualizzata di ciascun ospite, per confrontarsi e per porre domande ed esprimere dubbi.

“In questo lavoro devi adattarti alla persona che hai davanti in continuazione – racconta la fisioterapista Cascio Gioia -. Per me è stata una grande occasione di crescita, che mi ha permesso di conoscermi meglio e di capire come confrontarmi con una persona affetta da Alzheimer”.

Uno degli aspetti più difficili in chi fa questo lavoro è la defusione, ovvero la capacità di staccarsi emotivamente al termine della giornata lavorativa. “In questo lavoro c’è molta relazione tra operatore e ospite – prosegue Oggianu -. Un’Oss non si occupa solo di azioni pratiche, ma deve per forza trovare il modo di instaurare una relazione con chi ha davanti. Gli operatori vanno quindi sostenuti e supportati. Per quanto mi riguarda lavorare con le persone con demenza ti dà la possibilità di incontrarti e scontrarti con l’essere umano a tutto tondo. Si tratta di persone che hanno vissuto molto, che hanno caratteri, storie, estrazioni sociali ed esperienze molto diverse tra loro”.

Condividi
Precedente
Che cos’è e come funziona una comunità energetica?
tetto di azienda con pannelli fotovoltaici installati

Che cos’è e come funziona una comunità energetica?

Successivo
Lavorare nel sociale? “Un continuo dare e ricevere”
giovane ragazza con oca

Lavorare nel sociale? “Un continuo dare e ricevere”

Potrebbe interessarti