Il cibo che educa: come nasce un pasto per una mensa scolastica o una casa residenza anziani
Il cibo è un elemento essenziale nella vita di ognuno di noi, e in alcuni momenti della vita gioca un ruolo ancora più importante. Per i bambini, ad esempio, il pasto è un’occasione di scoperta e di crescita. Per una persona anziana influisce sul benessere quotidiano, sulla salute e persino sulla memoria.
Per questo preparare i menu di scuole e case residenza è un compito che richiede competenza e responsabilità. Lo sa bene Silvia Bigucci, nutrizionista che collabora con la cooperativa Diapason di Rimini per garantire pasti equilibrati e appetitosi a bambini e anziani del territorio.

Ciao Silvia, ci racconti come nasce un pasto per una scuola?
Si parte sempre dalle linee guida nazionali del Ministero della Salute e da quelle regionali: indicano frequenze degli alimenti, porzioni, apporti nutritivi. Da lì costruisco menu equilibrati, adatti ai bisogni e ai gusti dei bambini.
C’è molta attenzione alla stagionalità, alle materie prime fresche e locali, al biologico: per questo abbiamo un menu autunno-inverno e uno primavera-estate. Ogni pasto è completo – primo, secondo, contorno, frutta e pane – e può comprendere carne, pesce, uova, formaggio e i legumi, un alimento che i bambini conoscono ancora poco.
Non c’è alcuna forzatura né obbligo: ai bambini viene semplicemente consigliato di assaggiare i piatti proposti. Se qualcosa non piace il menù offre sempre opzioni varie ed equilibrate.
Come si gestiscono intolleranze o diete particolari?
È un lavoro molto collaborativo, intanto con i cuochi e le cuoche di Diapason, che sono preparatissimi, e poi con le scuole stesse e con le famiglie: si compilano moduli per segnalare cibi da evitare per motivi culturali oppure intolleranze e allergie, per i quali serve un certificato medico. In base a questo proponiamo alternative valide e bilanciate.
Poi ci sono i questionari di gradimento, che vengono consegnati a campione alle maestre e ai bambini, così da valutare eventuali criticità e raccogliere suggerimenti per rivedere il menu se necessario.
C’è un valore sociale nel mangiare insieme fin da piccoli?
Assolutamente sì. La mensa non è solo nutrizione: è scoperta, socializzazione, apprendimento. Mi è capitato spesso di vedere bambini diffidenti approcciare un cibo nuovo vedono un compagno o una compagna che lo mangia. Il confronto crea apertura, stimolazione.
È il senso del mangiare insieme, un’esperienza che poi ci accompagna anche da adulti.

La mensa può essere anche un momento educativo?
Deve esserlo. Lavoriamo molto per far capire che il cibo non va sprecato. La verdura specialmente è ancora un tasto dolente, il cibo più scartato. Ma se si racconta l’impatto di questo spreco, i bambini capiscono. Forse è una goccia nel mare, ma intanto si mettono in moto delle spinte al cambiamento. Tanto che spesso poi sono i bambini a produrre dei cambiamenti nei comportamenti dei genitori e non viceversa.
Parliamo di disturbi del comportamento alimentare. I casi sono in aumento, specie tra i più giovani…
È vero, dal Covid in poi c’è stata un’impennata e un abbassamento della fascia d’età in cui iniziano a comparire i disturbi. Il rapporto con il cibo può diventare l’area attraverso cui si manifestano difficoltà emotive, cognitive e relazionali: non è il cibo in sé la causa, ma un mezzo tramite cui prende forma un disagio più complesso, come evidenziato dalle principali ricerche e linee guida sui disturbi del comportamento alimentare.
Cosa si può fare a riguardo?
La prima cosa è sospendere il giudizio durante i pasti. Commenti come “mangi poco” o “mangi troppo” non sono utili e possono aumentare ansia o oppositività. Le evidenze mostrano che un clima neutro, non valutativo e non coercitivo favorisce un rapporto più sereno con il cibo.
Durante il pasto è importante proporre, non forzare; mantenere regolarità, routine e un ambiente tranquillo, evitando di usare il cibo come premio o punizione. Anche la semplice presenza di un adulto che mangia in modo equilibrato ha un ruolo educativo, perché i bambini apprendono soprattutto attraverso l’osservazione.

Come si struttura un percorso nutrizionale nei casi di disturbi alimentari?
È fondamentale che il percorso sia integrato, e affronti anche aspetti psicologici, emotivi e relazionali accanto a quelli medici e nutrizionali, altrimenti i progressi risultano più limitati. Negli anni in cui ho lavorato al Centro regionale per i Disturbi del Comportamento Alimentare in Neuropsichiatria infantile a Bologna, ho visto quanto questo approccio multidisciplinare sia determinante per favorire un recupero stabile e completo.
Come sei arrivata a collaborare con Diapason?
Ho incontrato la cooperativa proprio a un progetto sui disturbi del comportamento alimentare: Diapason è molto attenta a questi aspetti. La nostra collaborazione è nata così, insieme abbiamo rivisto i menu, grammature, ricettari, allergeni. E così abbiamo anche migliorato la qualità del servizio, che è sempre una priorità per Diapason.
Oltre alle scuole, ti occupi anche dei pasti per le residenze per anziani servite da Diapason. Come cambia l’approccio al cibo per questa fascia d’età?
L’impostazione è la stessa. Si parte sempre dalle linee guida ministeriali, che però vanno adeguate a necessità diverse: non più una fase di crescita ma di mantenimento della salute. Vanno considerate eventuali patologie o difficoltà di deglutizione o ingestione.
L’appetibilità resta centrale: il cibo è veicolo di piacere, di emozioni, di ricordi. Per questo abbiamo lavorato molto per ricreare menu tradizionali, specie per le feste: è un modo per “tornare a casa” anche se si vive altrove.

