Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA): una dicitura che non si sente tutti i giorni, forse perché racconta un mondo che parla poco. La CAA è un insieme di tecniche e di strategie usate per costruire un linguaggio accessibile e semplificato, pensato per chi ha difficoltà comunicative complesse.
La comunicazione aumentativa alternativa (CAA): quando nasce e perché
La CAA nasce in America negli anni Cinquanta per persone che, a seguito di malattie, interventi chirurgici o eventi traumatici erano in una condizione di motricità limitata che impediva loro di parlare o di comunicare in modi tradizionali.
Un esempio su tutti è Stephen Hawking, scienziato di fama mondiale che utilizzava un sistema CAA per interagire verbalmente, superando così gli ostacoli comunicativi dovuti alla sclerosi laterale amiotrofica. Circa dieci anni più tardi, i dispositivi per la CAA cominciarono a essere utilizzati da persone con altre diagnosi, come deficit dell’apprendimento, disturbi della concentrazione e autismo, per favorire la comprensione della lingua scritta e parlata.
La casa editrice faentina specializzata in CAA: libri necessari per qualcuno, utili a tutti
Esistono anche libri scritti in CAA: si avvalgono di un sistema simbolico in cui ogni parola è rappresentata da simboli grafici che ne definiscono il significato e, nel loro insieme, formano le frasi. Richiedono un approccio partecipativo, perché sono pensati per essere letti ad alta voce. Del resto, la comunicazione è relazione, e proprio per questo i libri in CAA sono per tutti.
In Italia, una realtà editoriale specializzata in libri in CAA è la la cooperativa Studioin3 di Faenza, che pubblica libri per l’infanzia attraverso la casa editrice Homeless Book. Per la produzione di questo tipo di testi, la casa editrice collabora con il Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa, un punto di riferimento nato all’interno del Policlinico di Milano per la formazione degli operatori e delle famiglie.
“Questi libri partono da una esigenza di tipo clinico, di qualche bambino che non riesce a entrare nel concetto di lettura. Ma poi i libri restano a disposizione anche degli altri bambini, che li leggono semplicemente perché interessano. È il concetto dell’Universal Design: necessario per qualcuno, utile a tutti” racconta Maria Caterina Minardi, responsabile scientifica per la collana di libri in CAA di Homeless Book.
Questi libri partono da una esigenza di tipo clinico, di qualche bambino che non riesce a entrare nel concetto di lettura. Ma poi i libri restano a disposizione anche degli altri bambini, che li leggono semplicemente perché interessano.
Nelle scuole dell’infanzia, il libro pensato per chi ha bisogno di un supporto visivo per compensare una difficoltà interpretativa può essere utilizzato anche da bambini stranieri che devono imparare una nuova lingua, oppure da tutta la classe come prima esperienza di lettura autonoma, poiché i simboli consentono ai bambini di costruire la frase e raccontarsi la storia.
La lettura condivisa in CAA: un momento di crescita relazionale
È sempre Maria Caterina a spiegare il valore di questi libri, prendendo le distanze dal concetto di apprendimento per avvicinarsi a quello di condivisione: “Fin da piccoli siamo bombardati di richieste di prestazione, ancora di più nel contesto clinico: i bambini devono imparare a far tutto, camminare, parlare… I momenti di svago vengono lasciati indietro.
Se un genitore ha un bambino in ospedale per sei mesi, si scoraggia e non pensa che il libro possa contribuire a migliorare la situazione. Invece, soprattutto per i bambini che hanno una disabilità, il libro è fondamentale: l’esperienza di lettura serve per lo sviluppo generale del bambino, compreso quello emotivo, e ruota attorno allo ‘stare insieme’. Dopodiché, il libro è anche un supporto a livello di sviluppo linguistico. Ecco perché si vogliono diffondere i libri in CAA al di fuori del contesto ambulatoriale e ospedaliero”.
Per i bambini che hanno una disabilità, il libro è fondamentale: l’esperienza di lettura serve per lo sviluppo generale del bambino, compreso quello emotivo, e ruota attorno allo ‘stare insieme’.
In questo senso, i genitori giocano un ruolo fondamentale; molto spesso infatti sono loro i primi autori di libri personalizzati, per aiutare i propri figli con difficoltà linguistiche. Possono essere storie inventate, oppure rivisitazioni dei classici della letteratura.
Il lavoro editoriale si concentra soprattutto sulla “traduzione” da parola a simbolo e sull’illustrazione. Non è semplice, perché le immagini non devono distrarre il lettore e i simboli CAA non sempre sono in grado di riportare espressioni figurate e la morfologia delle parole.
Pubblicare libri di questo tipo è fondamentale anche perché contribuisce a sensibilizzare le persone su questo tema: la metodologia CAA in Italia non è ancora molto diffusa e gli insegnanti e gli educatori che la sfruttano sono ancora una nicchia: “Gli strumenti vanno più veloci della presa di coscienza – commenta Maria Caterina -. Il vero problema è far capire che anche il bambino che sta lì e ti sembra vuoto, non lo è e può imparare a comunicare. Magari ci metterà 5 anni, forse 10, ma ce la può fare. Il libro è solo uno strumento: non è utile di per sé, lo diventa quando è supportato da una riflessione alla base e capisci dove puoi arrivare. All’inizio, per me è stato difficilissimo credere che un simbolino potesse aiutare un bambino a sviluppare un mondo interno. Eppure, succede”.
All’inizio, per me è stato difficilissimo credere che un simbolino potesse aiutare un bambino a sviluppare un mondo interno. Eppure, succede.