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Certificazione per la parità di genere: che cos’è e come funziona

La certificazione per la parità di genere nelle imprese: come funziona e perché è importante

Il mondo del lavoro fa differenza tra uomini e donne, è un fatto dimostrato dai dati. Per le donne è più difficile accedere a determinate carriere, conciliare la vita lavorativa e quella familiare, e in media i salari femminili, a parità di mansione, sono più bassi di quelli maschili.

Colmare questi divari dev’essere una priorità per qualunque società civile. Le imprese, dal canto loro, possono fare moltissimo. Per incentivarle in questo processo, nel marzo 2022 è stata introdotta la UNI 125:2022, la certificazione per la parità di genere.

La certificazione per la parità di genere, per le imprese è un buon punto di partenza

Le aziende che si certificano con la UNI 125:2022 ottengono sgravi fiscali (l’1% dei contributi versati, fino a 50mila euro per azienda sul totale) e beneficiano di punteggi aggiuntivi quando partecipano a gare d’appalto.

Per ottenere la certificazione è necessario adeguarsi a degli standard precisi, per sei aree organizzative di riferimento. “Si prendono in esame, ad esempio, le pari opportunità di carriera, la parità salariale a parità di mansione o la tutela della maternità e della paternità. La norma richiede anche di stanziare un budget per attività a supporto dell’inclusione, come incontri e percorsi di formazione”.

A raccontarlo sono Riccardo Nascè e Miriam Nardone, che in Confcooperative Romagna si occupano di assistere le cooperative che intendono certificarsi per la parità di genere.

“Per l’azienda è un impegno, ma a quelli che ci chiedono: ‘Ne vale davvero la pena?’ rispondiamo sempre un convintissimo sì! Per le ragioni etiche e per i vantaggi fiscali, certo, ma anche perché questo percorso porta all’impresa un patrimonio di informazioni sensibili sui propri processi lavorativi, sulla propria organizzazione, sui punti di forza e di debolezza”.

Come fa una cooperativa a certificarsi per la parità di genere?

Da una prima fase di gap analysis si rileva lo “stato di salute” della popolazione femminile all’interno dell’azienda. In base a questi risultati si possono aprire due strade: se l’azienda raggiunge il punteggio minimo, pari almeno al 60% dei requisiti richiesti, può cominciare il percorso vero e proprio con l’ente certificatore. In caso contrario, si impostano alcune azioni interne per colmare i divari emersi.

Nardone e Nascè svolgono sia la parte di analisi che la consulenza successiva: “Le cooperative spesso partono da dei buoni livelli di attenzione sociale, in molti casi si tratta solo di riorganizzare o migliorare caratteristiche già presenti, tramite piccoli accorgimenti”.

Quali sono i rischi connessi alla certificazione per la parità di genere?

“C’è il rischio che alcune aziende intendano questa certificazione solo come un’azione di marketing, un bollino per migliorare la propria immagine e guadagnare punteggi nei bandi, oppure che la vivano come una seccatura”. È quanto sostiene Doriana Togni, vicepresidente della cooperativa sociale LibrAzione, molto attiva sui temi della parità di genere.

“Invece questa certificazione rappresenta un’opportunità fondamentale per avviare una riflessione reale e approfondita. E le ragioni non sono solo sociali, ma anche imprenditoriali: in tutti i percorsi che ho seguito, quando un luogo di lavoro è diventato più inclusivo e paritario, a crescere è stata anche la produttività”.

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