Violenza sulle donne: “Colpisce tutte senza distinzioni. Dobbiamo contrastarla ogni giorno”
“La violenza ci fa a brandelli e noi dobbiamo trovare il modo di ricomporre i pezzi”. Quel noi si riferisce alle donne, in particolare a quelle che subiscono abusi – fisici, psicologici e di potere – da parte degli uomini. A pronunciare queste parole è Olimpia Di Donato, presidente dell’associazione Rimini Rete Donna che si occupa proprio di aiutare le donne vittime di violenza a rimettere insieme i pezzi delle loro vite e a trovare la forza e l’autodeterminazione per vivere.
Olimpia, chi sono le donne che si rivolgono a voi? C’è un profilo particolare, un modello che si ripete?
Non c’è un target definito. La violenza non si ferma davanti a una laurea o a una buona posizione lavorativa. Abbiamo avuto dottoresse, inoccupate, studentesse, donne straniere. Dopo la vicenda di Giulia Cecchettin abbiamo ricevuto al nostro centralino molte chiamate di ragazze di quell’età che ci hanno raccontato di relazioni morbose. Arrivano le donne la cui violenza subita è fisica e si vede, e altre la cui violenza è psicologica, più subdola e difficile da vedere. Sono donne coraggiose, che hanno raggiunto una consapevolezza e seppur con tanta paura chiedono aiuto. La paura a volte è anche quella di perdere i propri figli, il proprio lavoro, la propria carriera universitaria.
Cosa fa Rimini Rete Donna per loro?
Rimini Rete Donna è un’associazione formata da donne, tutte volontarie e con una formazione specifica alle spalle, che si occupa si accogliere e sostenere le donne vittime di violenza. Lo facciamo fornendo: assistenza telefonica, accoglienza, supporto legale e psicologico gratuito, opportunità di lavoro per chi non ce l’ha. Inoltre lavoriamo nella costruzione di una rete con vari enti del territorio affinché le donne che aiutiamo non si sentano sole e possano ricevere il supporto necessario per uscire dalla condizione di violenza che subiscono.
Qual è il primo passo da compiere per le donne che si rivolgono a voi?
La prima cosa su cui ci focalizziamo è il concetto di potere e di autodeterminazione. Lavoriamo per far comprendere a tutte che non abbiamo bisogno dell’autorizzazione di nessuno per fare qualsiasi cosa. La vita è nostra e a decidere per noi stesse siamo noi, punto.
Perché avete progetti di inserimento lavorativo?
Se le donne vittime di violenza non hanno una prospettiva lavorativa restano intrappolate nella dipendenza economica e in quel caso è difficile per loro dare una svolta alla propria vita. Spesso sono donne che hanno smesso di lavorare con l’arrivo dei figli e per cui è più difficile reintrodursi nel mercato del lavoro. Grazie alla collaborazione con la cooperativa Fratelli è Possibile abbiamo ideato il progetto dedicato all’autonomia economica per le donne. Oggi siamo attivi con questa iniziativa a Rimini e nei Comuni dell’Unione dell’Alta Valmarecchia dove abbiamo costruito una rete solida tra amministrazioni, associazioni e imprese e stiamo lavorando per replicarlo anche nei comuni di Rimini sud.
Quante donne aiutate con la vostra associazione?
Attualmente stiamo assistendo con i nostri servizi di supporto 58 donne. A queste si aggiungono poi tutte le telefonate che riceviamo al nostro centralino.
Cosa possiamo fare tutte e tutti noi, nel nostro quotidiano, per contrastare la violenza sulle donne?
Hai usato una parola molto importante: quotidiano. Se iniziamo a fare in modo che le azioni di contrasto alla violenza sulle donne siano qualcosa di quotidiano abbiamo già vinto. In questi giorni, per via di quello che è successo a Giulia Cecchettin e per la ricorrenza del 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne), questo tema è all’ordine del giorno. C’è un’eco mediatica fortissima. Noi dobbiamo fare in modo che i riflettori non si spengano domani. Siamo immersi in una società con una cultura dominante. Ce lo dice anche solo il fatto che noi donne abbiamo paura a camminare da sole per strada, mentre gli uomini non ce l’hanno. Dobbiamo riflettere su questo. È un cambiamento che richiede sacrificio e coraggio. Spesso conquistare spazi pubblici di confronto su queste tematiche è difficile. Ma possiamo iniziare da piccole cose:
- Non stare zitte e zitti e denunciare se vediamo situazioni di abuso,
- Interessarci all’altra persona,
- Impegnarci,
- Ascoltare,
- Riappropriarci di spazi pubblici liberi dove stare insieme e far circolare nuove idee. Spazi fisici, reali, non sui social network,
- Educare i nostri bambini alla cura, insegnando loro che non è una prerogativa solo femminile.
Avete progetti rivolti prettamente agli uomini?
Sì, al momento abbiamo “Il fuori si costruisce dentro”, un percorso di prevenzione per gli uomini detenuti che sono a fine pena e si preparano a uscire dal carcere. È un progetto di un anno che aiuta anche nella costruzione di una rete e che speriamo di esportare in altre realtà per dedicarlo anche a un pubblico femminile.
Prima hai parlato di bambini, quanto è importante partire dalle scuole?
È fondamentale. La scuola ha un grande potenziale se vogliamo un cambiamento culturale. Attualmente stiamo portando avanti un progetto di sensibilizzazione in una scuola primaria riminese. Abbiamo lavorato con i bambini e le bambine sulle emozioni e sull’abbattimento di stereotipi ancora molto presenti, come il considerare il colore rosa un colore da femmine. Da gennaio partiremo con degli incontri dedicati ai genitori, per concentrarci sulle fragilità, i tempi di vita e le dinamiche delle famiglie di oggi. Bisogna partire dalle scuole perché la prossima Giulia potrebbe trovarsi proprio fra quei banchi.
Sei una donna vittima di violenza, hai bisogno di aiuto?
Puoi contattare Rimini Rete Donna: 344 08422705 – www.unacittaperledonne.it